Carrie |
Regia: Brian De Palma Cast: Sissy Spacek, Nancy Allen, William Katt Musiche: Pino Donaggio
Produzione: USA 1976 Genere: Drammatico Durata: 98 minuti
Regia:
Interpretazione:
Sceneggiatura:
Musica:
Giudizio:
Trama Carrie (Sissy Spacek) è una ragazza timida e introversa, continuamente vessata dalle compagne di liceo e traviata da una madre pazza. L’unica difesa consiste in una soprannaturale capacità telecinetica che manifesta nei momenti più difficili. Quando, inaspettatamente, la giovane viene invitata al ballo della scuola dal più bel ragazzo dell’istituto (William Katt), tutto sembra risolversi per il meglio, ma la perfida Chris (Nancy Allen) le riserva uno scherzo crudele. Recensione Nato come grande ammiratore di Alfred Hitchcock e cresciuto con la vena artistica del torbido giallista, Brian De Palma si rivela anche un sensibile drammaturgo con il vizio per l’estetica e il delirio, confezionando un film che, erroneamente, viene considerato un classico dell’horror, quando invece è permeato da linee guida confluenti in un’analisi profonda e sconcertante di quella parte di società giovanile senza solidi principi morali. Si configura dunque come una tragedia moderna nella quale un’emarginata soccombe alla crudeltà di un mondo che la priva della sua dignità e la piega alle brutture. Perfino in seno alla famiglia la povera Carrie ha una fonte di sofferenza e ostilità costituita da una madre che incarna il fanatismo e la pazzia della religione travisata e reinterpretata nel dedalo delle anomalie psichiche. Ogni ambiente in cui mette piede diviene per la ragazza un labirinto costellato di lame affilate e serpi velenose dove a salvaguardarla c’è solo il suo potere telecinetico. La componente soprannaturale, dunque, esiste ma non è preponderante, consiste soltanto in un elemento che può purtroppo fuorviare nella definizione del genere nel quale collocare il lavoro di De Palma, propedeutico demiurgo di una vicenda molto triste, pregna di cattiveria e atteggiamenti violenti dettati dal sadismo e dall’odio. Sissy Spacek è semplicemente fenomenale nel suo ruolo, in grado di far emergere dal personaggio quelle sensazioni intrinseche che, diversamente dalla sua abilità mimica e cinetica, non si potrebbe probabilmente rendere in nessun altro modo. Lo sguardo esprime un bagaglio di patimenti misti a dolcezza, in collisione con gli occhi famelici degli antagonisti impegnati in una battaglia assurda. Furoreggia in sintesi una lancinante persecuzione dell’individuo, una sorta di caccia alla strega che culmina in un rogo il cui colpevole, se da un lato è palese, dall’altro sembra indefinito o addirittura ribaltato. De Palma elude il facile motivo truculento, ricorrendo al sangue soltanto in due occasioni, all’inizio e alla fine, come a volere aprire e chiudere un cerchio in cui un’angosciosa storia sprigiona prima l’innocenza e poi il peccato, aspetti che assurgono a simboli di un’esistenza abbandonata malinconicamente a se stessa e destinata ad essere sacrificata in nome di una serenità soltanto apparente.
Il ragazzino che cade dalla bicicletta è Cameron De Palma, figlio del regista |